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  • 30 mag 2015
  • Corriere della Sera
  • Di Daniele Manca

«Serve una carta per difendere i diritti sul web»


Laura Boldrini: «Internet crea nuove disuguaglianze, servono garanzie»

In Europa Adesso serve un’iniziativa italiana per arrivare a un documento comune in Europa
La presidente della Camera Laura Boldrini vuole «individuare una possibile carta dei diritti posta a garanzia dei cittadini su Internet». Ha creato alla Camera una commissione coordinata da Stefano Rodotà. Ha avviato una consultazione pubblica su Internet e sulle regole che garantiscano diritti in Rete per tutti i cittadini. Laura Boldrini, presidente della Camera, è impegnata nel non far sottovalutare quella tecnologia che sta rivoluzionando le stesse strutture sociali delle comunità e dei Paesi. Anzi, vorrebbe che l’Italia assumesse un ruolo guida in Europa per far comprendere come «Internet abbia esaltato diseguaglianze e ne abbia creato di nuove, ma sia anche terra di grandi opportunità», spiega dal Brasile. Ci è andata per invitare i presidenti dei Parlamenti dell’America Latina a partecipare al primo forum che si terrà a ottobre in Italia, finalizzato a individuare i modi per aumentare la partecipazione democratica. Partecipazione che inevitabilmente nel nuovo millennio deve passare attraverso l’utilizzo massiccio e diffuso dei nuovi strumenti e mezzi tecnologici messi a disposizione da Internet. A 800 anni esatti di distanza dalla Magna Charta che limitava i poteri del re d’Inghilterra, si fa strada la consapevolezza che i giganti del web come Google, Facebook e via dicendo (gli «over the top») abbiano accumulato poteri analoghi a quelli di Giovanni Senzaterra, al punto da mettere a rischio le possibilità di scelta dei cittadini.
Perché associare due parole come Internet e democrazia?
«Al di là di iniziative che pure come Camera dei deputati abbiamo preso — mi riferisco all’uso di social network come Twitter, Facebook, anche YouTube, Flickr per avvicinare l’istituzione ai cittadini — non possiamo permettere che si consolidino nuovi volti della diseguaglianza creati proprio dalla tecnologia».
 Diseguaglianza di che tipo? «Semplice: quella prodotta dalle diverse opportunità di accesso e crescita. Le faccio un esempio. La mia casa nelle Marche è dietro una curva. Prima di essa riesco a scaricare la posta, superata la curva non più. Al di là del mio problema, tutti gli agriturismi o le piccole aziende che sono dopo quella curva avranno minori possibilità di crescita, così come tutti gli abitanti di quella zona avranno meno opportunità. Ecco come si creano le nuove disuguaglianze».

Internet come materia prima?
« Esatto, come l’acqua per l’agricoltura».
Ma è un problema di agenda digitale e di arretratezza italiana...
«Certo, anche questo. È evidente che disporre di una connessione a banda larga fa la differenza, ma non dobbiamo avere un approccio solo economico».
Fare o non fare la banda larga è questione però di investimenti.
«Sì. Ed è per questo che in queste settimane se ne dibatte e credo e spero che si accelererà per favorire i necessari investimenti. Ma è importante anche quello che viene trasmesso via Internet. È importante capire chi davvero decide la trasmissione di questo o quel contenuto».
Ma sono i cittadini e i clienti che usano e scelgono cosa vedere o come usare Internet.
«No, non è solo così. Molti ragazzi smanettano su Internet pensando di essere loro a guidare il gioco. In realtà stanno fornendo dati preziosi sulla loro personalità a colossi come Facebook, Google e altri che li utilizzeranno per selezionare contenuti diversi per ognuno di loro».
È quel Far West che ha bisogno di regole del quale parlava Giovanni Pitruzzella, presidente dell’Antitrust: si ha l’impressione di scegliere ma in realtà non è così?
«È questa la connessione importante tra Internet e democrazia. Quando abbiamo creato la commissione, ci siamo mossi per individuare una possibile carta dei diritti posta a garanzia dei cittadini su Internet. Abbiamo avviato audizioni con tutti gli attori dalla Rai a Telecom a Google a Facebook alle autorità di garanzia; ne è seguita una consultazione pubblica aperta a tutti i cittadini e alle istituzioni per avere la loro opinione su una sorta di Carta costituzionale per Internet. Il fatto che le parli dal Brasile non è casuale».

Immagino perché il Brasile è stato il Paese più critico quando si vennero a scoprire le invasioni di campo dei servizi segreti statunitensi della Nsa…
«Anche ma non solo. Siamo qui perché il Brasile è il Paese del Marco Civil, vale a dire la legge sui diritti e doveri in Rete: una delle più avanzate in questo campo, che prende le mosse dall’appello del 2005 fatto a Tunisi proprio da Stefano Rodotà al World Summit for Information Society per sostenere i diritti dei cittadini anche sulla Rete. Poco fa ho avuto un incontro con il relatore di questo provvedimento, il deputato Molon».
Credo però che se si arriverà a una Carta solo italiana abbia poco senso… 
«Proprio in questi giorni la nostra commissione sta lavorando con quella francese per creare una convergenza. Lo scopo è arrivare all’Internet Government Forum di novembre, qui in Brasile, con uno schema di Carta dei diritti che ogni Paese potrà adattare alle proprie esigenze. L’Italia presenterà la sua iniziativa in un workshop organizzato con la Web foundation di Tim Berners Lee, l’inventore del web».
Sì, ma i tempi sono molto lunghi, nel frattempo i colossi corrono.  
«Certo, è questa la differenza che c’è tra chi si muove per interessi economici e chi invece ha a cuore gli interessi di tutti i cittadini. Ma proprio per questo non possiamo lasciare Internet in balia di chi ha scopi soltanto di guadagno. Altrimenti le diseguaglianze cresceranno. Sia economiche, sia culturali».
Ma non è facile per i cittadini che sono anche consumatori capire che dietro Internet non ci sono solo prezzi più bassi, facilità d’uso e via dicendo.
«C’è anche, infatti, un tema di alfabetizzazione. Direi alfabetizzazione e opportunità. Alfabetizzazione per sapere usare e capire come muoversi su Internet per far valere anche i propri diritti. Opportunità ad esempio nel senso che ho imparato, quando facevo un altro lavoro e mi occupavo di rifugiati. Sa che cosa chiedevano nei campi profughi dopo il cibo? Internet. Era l’unica possibilità per loro di uscire dai recinti di un futuro di isolamento, di rimanere collegati ai loro Paesi di origine».